Calabrese Luigi Filippo è l’autore di 7 dattiloscritti, risalenti al periodo 1932-1938 e ritrovati per caso dopo circa 80 anni. Il misterioso autore dichiara di essere medico, di avere origini siciliane, di essere giornalista, di essere stato confinato, a partire dal gennaio 1935, nella colonia delle isole Tremiti e, dopo un soggiorno di circa 2 anni, di essere stato trasferito, a Calvello per i primi 6 mesi del 1937 e poi ad Avigliano ove rimase almeno fino al maggio 1938.
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Ma chi era Filippo Calabrese?
Calabrese era medico e giornalista. Aveva fatto studi classici; conosceva il latino, la letteratura italiana, la filosofia, la musica. Era uomo di mondo che aveva viaggiato in molti paesi, utilizzando treni, aerei e automobili. Nel 1932, invitato dall’Ambasciata Italiana, a Bruxelles aveva svolto una conferenza di commemorazione della Prima Guerra Mondiale. Era, dunque, uomo in vista e gradito al regime. Improvvisamente, però, un’ordinanza del 3 gennaio 1935 lo condannava a cinque anni di confino, da scontare nella colonia penale delle isole Tremiti. Dopo due anni, per motivi di salute, veniva trasferito, prima a Calvello, poi ad Avigliano.
Non solo Carlo Levi
Carlo Levi è certamente il confinato politico più noto del periodo fascista. Non c’è persona che non conosca il suo Cristo si è fermato a Eboli, “diario” del periodo di confino trascorso dall’autore in Lucania. Ma Levi fu uno dei tanti. La Lucania, infatti, terra lontana, difficilmente raggiungibile, ma anche, per le sue ridotte dimensioni territoriali e demografiche, facilmente controllabile, fu terra di confino privilegiata per migliaia di professionisti, operai, contadini, sacerdoti, donne, provenienti da tutte le regioni d’Italia.
La ricerca storica sul confino
Secondo le ultime ricerche, le buste del Casellario Politico Centrale di Roma contengono 152.677 fascicoli di confinati. In alcune pubblicazioni dell’Archivio di Stato, che interessano cinque regioni del sud, (Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata e Campania) sono raccolte soltanto tremila biografie. Non stupisce pertanto che, a volte, inaspettatamente, è possibile ricostruire le biografie di altri confinati. E’ successo con Filippo Calabrese, la cui documentazione è stata rinvenuta negli archivi storici dei Comuni di Calvello e di Avigliano. Calabrese, peraltro, ha lasciato 7 dattiloscritti risalenti al periodo 1932-38, ritrovati dopo circa 80 anni.
L’altra Lucania
Calabrese nacque a Palermo il 7 luglio 1900. Era, quindi, quasi coetaneo di Carlo Levi, nato nel 1902. Entrambi erano medici. Ma uno veniva del nord, l’altro dal sud: Levi da Torino, Calabrese da Palermo. Entrambi furono assegnati al confino in Lucania. Levi fu confinato a Grassano, poi, per sicurezza e per punizione, ad Aliano, in quella parte della regione, il cui territorio si presentava, e si presenta, secco, brullo, pieno di calanchi. Calabrese, invece, trascorse il confino lucano a Calvello ed Avigliano, nel cuore dell’Appennino Lucano, le cui montagne sono fittamente coperte da rigogliosa e folta vegetazione. Levi, perciò, ci restituiva l’immagine di una Lucania arida, lunare, tale da diventare quasi lo stereotipo con il quale la nostra terra viene ancora oggi identificata e conosciuta nel mondo. Il paesaggio descritto da Calabrese, al contrario, ricorda all’autore i paesaggi ricchi di verde e di acque. La valle dell’Agri, per lui, era “uno spettacolo [che] avrebbe scosso qualunque paesaggista intorpidito per la creazione di un magnifico quadro”.
Testimonianza di Vito Fiorellini
Vito Fiorellini, autore del volume “L’ultimo dei Cusci”, è un avvocato originario di Avigliano che, da oltre 40 anni, vive a Milano. Il periodo di ferie, trascorso quest’estate al suo paese natale, gli ha permesso di venire a conoscenza della pubblicazione del libro sul confinato Calabrese, che lui dichiara di aver conosciuto. Queste le sue parole: “Ho conosciuto personalmente Filippo Calabrese nel 1938. Avevo 10 anni. Non ho molti ricordi di quel periodo della mia infanzia; ma il ricordo di quella figura, anche a distanza di molti anni, è sempre stato uno dei più vivi. Abitavo allora, con la mia famiglia, ad Avigliano scalo. A pochi metri da casa era stata istituita una scuola popolare. Ad insegnare era arrivata una maestra che proveniva da Muro Lucano. Si chiamava Teresa. Aveva due sorelle. Una di queste, Rosita, maestra anche lei, prima di trasferirsi a Roma, insegnò per poco tempo in altra frazione di Avigliano. L’altra, Marianna, si occupava delle necessità della vita quotidiana. Conoscevo bene Teresa (chiamata Thea dal Calabrese), perché mi dava lezioni di analisi logica. Ho conosciuto Calabrese perché lo vedevo quando veniva a trovare Teresa. Era alto, bello. Arrivava con un cavallo che aveva una vera sella, al contrario dei nostri asini e muli, sellati solo con il basto. Anche nei molti anni che ho trascorso a Milano ho sempre pensato a questa figura, come se arrivasse da un altro pianeta…”
E adesso?
Siamo convinti che il fenomeno del confino sia un argomento poco studiato. Sembra quasi che la grande notorietà di Carlo Levi abbia offuscato e abbia fatto quasi dimenticare l’esistenza delle altre migliaia di confinati. Solo qualche anno fa, la consultazione dell’archivio di Avigliano aveva consentito a Gennaro Claps, cultore di storia locale, di comporre un preciso e dettagliato elenco dei circa 150 confinati in Avigliano. La nostra ricerca, più recente, condotta nell’archivio del Comune di Calvello, ci ha permesso di individuare un faldone contenente 59 cartelle di confinati politici. Ricordiamo che, solo pochi mesi fa, la pubblicazione del libro di Lilli Gruber, “Eredità, una storia della mia famiglia tra l’impero e il fascismo”, ha rivelato che una sorella della nonna della Gruber fu confinata, negli stessi mesi, a Castelluccio Inferiore. Ci si augura che la pubblicazione del nostro libro sia di stimolo a ricerche analoghe negli archivi di quasi tutti i Comuni lucani.
INFORMAZIONI:
Autori | Franco Villani – Donato Imbrenda |
Isbn | 978-88-98200-054 |