Dentro la testa di Antonio Infantino (musicista, poeta, scrittore, architetto, pittore, visionario, filosofo…), c’è tutto un mondo. Forse un’intera galassia o un’altra dimensione. Eppure, è troppo facile e banale dargli la definizione di alieno; a lui che è un lucano e tricaricese vero, ma che è nato a Sabaudia; a lui, che è l’idolo e il maestro riconosciuto di molti folk singers e gruppi tradizionali lucani, ma che asserisce con vigore di non fare musica folk; a lui che ha ispirato molti artisti di fama nazionale ed è stato copiato a man bassa da altrettanti; a lui, che è il personaggio musicale più intenso, complicato e originale che la Basilicata abbia partorito negli ultimi decenni.
Prezzo: | €12.00 |
SKU: | 9788898200337 |
Recensioni
Istruzioni per l’uso
Walter De Stradis
Dentro la testa del Genio di Tricarico (musicista, poeta, scrittore, architetto, pittore, visionario, filosofo…), c’è tutto un mondo. Forse un’intera Galassia o un’altra dimensione. Eppure, è troppo facile e banale dargli la definizione di “alieno”; a lui che dice che «l’esistenza degli extraterrestri non è così rilevante»; a lui che ha fatto dischi con “tarantelle tarantate”, ma a cui della “tarantella”, in sé e per sé – diciamocelo – non gliene frega niente; a lui, che è un Lucano e Tricaricese vero, ma che è nato a Sabaudia; a lui, che è l’idolo e il maestro riconosciuto di molti “folk singers” e gruppi tradizionali lucani, ma che asserisce con vigore di non fare “musica folk”; a lui che – e non lo sa quasi nessuno – ha ispirato molti artisti di fama nazionale ed è stato copiato a man bassa da altrettanti; a lui, che è un vero filosofo mistico/scientifico/lirico, una sorta di asceta che non disdegna la compagnia degli altri; a lui, che è un pensatore/sognatore/creatore che, pur con tutta quella barba bianca e il copricapo etiope, non vuole essere chiamato “sciamano”; a lui, che è il personaggio musicale più intenso, complicato e originale che la Basilicata abbia partorito negli ultimi decenni; a lui, infine, che è capace di furenti scatti di ego alla Gioacchino Belli/Marchese del Grillo (“Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo!”), ma che un attimo dopo è capace di ridiscendere precipitosamente tutti quei gradini, al fine di spiegarti e insegnarti, con pazienza e gentilezza purissime, tutto quello che gli chiedi.
E io, nel corso di diverse interviste realizzate negli anni (per la radio, per il giornale o per questo libro in particolare), di cose gliene ho chieste tante. Tutte quelle chiacchierate, le troverete (subito dopo il capitolo con una breve biografia del Nostro) riunite nella seconda parte di questo libercolo che ho tentato di assemblare sulla figura e il pensiero di Antonio Infantino.
Copiando vigliaccamente un’idea da un libro su Woody Allen che avevo letto qualche anno prima (Conversazione con Woody Allen, di Jean-Michel Frodon), ho pensato che la cosa migliore, per dare organicità a quelle nostre conversazioni, sarebbe stato unirle, rimontarle e ricompattarle, come se si fosse trattato di un’unica, lunga, intervista. E così ho fatto.
In questa sede, forse vale solo la pena di ricordare la prima volta che ho intervistato lo sciamano (il libro è mio, pazienza), a margine del concerto tenutosi a Potenza, in Piazza don Bosco, a sostegno degli operai della Fiat di Melfi, che erano stati protagonisti di uno storico sciopero. Era il 2004. A quel tempo lavoravo sia per una tv locale (Teleday) sia per il settimanale Controsenso (in realtà quell’articolo sarebbe poi uscito sul primissimo numero della testata, che tempo dopo avrei avuto l’onore – e l’onere – di dirigere).
Braccato Infantino, dopo alcuni altri artisti di prestigio lì convenuti, gli “sparai” subito il microfono sul muso, ma poi, colto da un’improvvisa incertezza (dovuta alla mia scarsa competenza musicale di allora, al di fuori del Reggae e della Black Music) gli chiesi, col dito in bocca e la telecamera spenta: «Ehm, è corretto se la definisco “un artista Folk”?». Infantino, che (come fa sempre in prossimità di un obiettivo) si era già tolto gli occhialini, mi guardò e urlacchiò deluso “….e Nooo!”. Poi, abbozzò un sorriso di circostanza, che divenne autentico quando gli chiesi se a suo parere gli operai della Fiat che lottavano per i loro diritti fossero paragonabili a dei briganti contemporanei. Riconosco che anche la mia domanda era un po’ di circostanza, ma lui ne fu felice lo stesso, e rispose volentieri. Insomma, me la cavai.
Quella volta.
INFORMAZIONI:
Autore | Walter De Stradis |