Il libro è una ricerca sulla complessa storia di un santo dovuta ai “tanti” Donato, storicamente esistiti, (vescovi, abati, martiri…) e venerati in moltissimi comuni di Italia. Il potere taumaturgico di curare l’epilessia e i riti devozionali (la vestizione dei bambini con gli abiti del santo, la pesa dei bambini per stabilire l’offerta in grano…) rappresentano il filo rosso delle festività tributate a questo santo. La presenza di simboli Longobardi (croce incisa sulla roccia), di simboli pagani quali il Fauno, le Sirene, le Sibille raffigurate all’interno di edifici cristiani costituisce la suggestiva cornice di una ricostruzione storica, religiosa e antropologica che va ben oltre il semplice culto di Sant Runat in quel di Contursi Terme.
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SKU: | 9788898200696 |
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Recensioni
Prefazione
Italo Cernera
Negli Inni Omerici, VIII-VI sec. a.C., Demetra, dea della Terra, viene invocata per proteggere i bambini dagli assalti maligni. Nel grande tempio di Rossano di Vaglio (PZ), centro religioso e politico dell’antica Lucania, sono raffigurate bambine e donne incinte a testimoniare che la dea Mefite era venerata per la nascita e la salute dei bambini oltre che per i campi e le messi, come la dea romana Cerere, spesso raffigurata accanto al “modio”, recipiente per la misurazione del grano.
Il frumento “domesticato”, con spiga più consistente rispetto al selvatico farro, risale a circa 9.000 anni fa. La sua coltivazione si diffuse dalla Mesopotamia al Mediterraneo. Era ritenuto così importante che spesso veniva indicato con la parola “carne” (Levitico 2,1 e 6,15). Scoperto il frumento, gradualmente si affermò il consumo del pane. All’inizio ci si cibava di chicchi interi, crudi o cotti, o macinati con pietre. Il pane, come lo conosciamo oggi, subentrò quando la farina di grano fu mescolata all’acqua e, casualmente, accostata a una fonte di calore. Ciò accadeva in Egitto, donde l’uso dei forni passò in Grecia e, poi, in Italia.
Per migliaia di anni, le operazioni di mietitura e trebbiatura sono rimaste immutate fino a poche decine di anni fa. Ci si alzava alle cinque del mattino quando “si èra luàta a stélla matutina” (Venere). Si usava una falce in legno o in terracotta dotata di denti di selce; poi la falce metallica con taglio dentato. La filiera di fatiche e di attese della civiltà contadina si chiudeva nel mese di agosto, quando il prezioso raccolto era sicuro nei granai. E non a caso ad agosto, nel mondo italico e romano, si tenevano le feste del grano. Presso le aree sacre si ringraziavano gli dèi per l’abbondanza del raccolto, offrendo loro doni in grano. Tito Livio, in Ab Urbe condita, riferisce che ad agosto, in onore delle divinità del grano, Romolo rilanciò l’antica festa Consualia, consistente in corse con muli e asini. Fu durante questa festa che avvenne il ratto delle Sabine. Può interessare sapere che, nel Sannio, nel Lazio e in tanti luoghi, ancora oggi si tengono feste con carri e doni di grano.
Italo Mastrolia ripercorre vita e onori al Patrono di Contursi Terme, festeggiato il 7 agosto, cioè SDan Donato (dono di Dio), che, per influenza dell’antica lingua osca, e per il fenomeno del rotacismo, dicesi Runat e Sant Runat. Il suo culto, a protezione dall’epilessia, fu diffuso dai Longobardi, giunti in Italia nel 568. Anni dopo al Sud fondarono il Ducato di Benevento comprensivo di Irpinia e Valle del Sele. Quale filo rosso della vita della comunità si individua il rito della “pesa”, consistente in una offerta di grano, corrispondente al peso del bambino che si intende proteggere. Il rito, in uso fino a poco tempo fa a Contursi, a Ripacandida, a Celenza sul Trigno (CH) e altri comuni ove si festeggia S. Donato, affonda in antichissime usanze diffuse in Mesopotamia, ai tempi di Babilonia. Se ne fa menzione nella religione di Zarathustra laddove si parla che il corpo vivente veniva pesato per la sua salvezza.
Il nascente clero cristiano, conoscendo l’animo e i bisogni della gente, tollerava gli eccessi devozionali (quali chiedere la grazia ai santi strisciando la lingua sul pavimento fino all’altare, gridare pubblicamente la richiesta di guarigione al santo sin dall’ingresso nella chiesa…) e i modi “pagani” di vivere la nuova religione che si stava affermando. Come nella Roma Imperiale esisteva un “dio” per ogni cosa, anche nel Cristianesimo i “martiri cristiani” diventarono, gradualmente, una sorta di “specialisti” di fiducia a cui ci si poteva rivolgere per chiedere la guarigione da una malattia. Come i “templi” erano dedicati a divinità pagane, anche le successive “chiese” vennero dedicate ai santi. Interpretando la convinzione dei contadini che le calamità e le malattie fossero una ribellione della natura, saranno gli stessi preti e monaci a predicare che le disgrazie/calamità erano “castighi di Dio”. Di qui la necessità di richiedere ai santi miracoli e intercessioni quali “equilibratori nelle immancabili sventure della vita” (Zovatto).
In questo quadro si inserisce il significato dell’altro elemento originale presente nel libro. Ci si riferisce alla “croce” (simbolo adottato dall’imperatore Costantino nel 312-315 d. C.), incisa nella roccia, in via Centrale che fa da basamento ai locali adiacenti all’huort e alla Chiesa del Carmine.
Massi e rocce, infatti, hanno sempre rappresentato la visione ”verticale” della sacralità. Quando sorse il bisogno di stare seduti intorno ad una pietra/mensa alzata dal terreno per consumare cibi, anche gli altari, in assenza di templi, presero una forma rialzata già presente negli antichi progenitori del mondo indo-europeo. Talvolta bastava un grosso masso (alcuni con incavi per offerte) o spuntone di roccia per pratiche rituali, libagioni, offerte, auspici per la fertilità, richieste di grazie, alle divinità. Era fenomeno registrato fin dai tempi preistorici, riferito alle Sibille, e alla Grande Madre.
Le Sibille, portate dagli antichi pastori nelle valli degli Appennini, legate al culto della quercia sacra, e rano vergini vestite di bianco che scrivevano i loro messaggi su foglie di acero o di quercia spostate dal vento. Con esse, nel tempo, si intrecciarono divinità osco-italiche e romane, “nordiche” e cristiane. Fu Erma, fratello di un vescovo di Roma, a dare alla Sibilla una dimensione cristiana, fino a incontrarla, sognarla per farsi rivelare cose di Dio. Ecco perché Sibille e Sirene, in seguito, saranno raffigurate anche nelle chiese.
Nelle vicinanze di Albano di Lucania (Potenza) c’è una panchina scavata, a 2 metri da terra, in un grande monolito detta “La seggia del diavolo”. Probabilmente, era un luogo di culto, forse un altare. Su un lato del monolito è scolpito un volto umano, simile a quello della “Grotta del Rosario” a Contursi. Su uno spuntone della roccia è incisa una croce latina come segno di purificazione e invito a dimenticare quel luogo “pagano”. Un segno di croce, inciso sulla roccia, è presente anche nei pressi di Piana Imperatore sul Volturino, in territorio compreso fra i Comuni di Marsicovetere e Calvello (PZ), in uno scenario di speroni, che fanno da sfondo a un pianoro delimitato da pietre circolarmente infisse nel terreno.
È noto che, nei pagi e nei vici delle zone interne dell’Italia, il Cristianesimo giunse più tardi. Qui, il prolungamento della devozione per Mefite, Fauno e altre divinità pagane si protrasse almeno fino al V-VI secolo dopo Cristo. Ci fu, quindi, un lungo periodo di convivenza tra divinità precedenti e divinità cristiane, come attestato da Sant’Agostino che, nella Città di Dio, afferma che Silvano e Fauno, secondo testimoni degni di fede, avevano rapporti erotici con creature umane.
Italo Mastrolia ritiene possibile il prolungamento del culto delle divinità antiche (Sibille/ Grande Madre/Mefite/Fauno) in un’area aggregativa e sakr per i villaggi del Peskòne. È possibile, cioè, che l’area dell’huort del Carmine fosse sede, in epoca osco-lucana, di altari di pietra dedicati alle varie divinità, e più tardi di un piccolo tempio coperto in legno, situato su un lato/angolo dell’intera superficie sacra. Le dodici Sibille affrescate alle pareti del Carmine, l’immagine del Fauno sul portale possono essere interpretate come omaggio ai ricordi, ai vissuti di una grande comunità.
Dopo un periodo di convivenza, la croce incisa sulla pietra, starebbe a significare il trionfo del culto cristiano. Nel caso di Contursi, tuttavia, non si tratta di una croce latina con due segmenti che si intersecano, ma di una croce analoga a quella riportata sulle monete longobarde, simile a quella bizantina, a 3 bracci, in cui il lato corto superiore diventa lo spazio “spazio” in cui si scriveva il motivo della condanna. Si ricordi la scritta INRI (Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum) posta alla sommità del capo di Gesù Cristo.
Il Cristianesimo non riuscì, però, ad eliminare i culti pagani dalla memoria collettiva. Interessante è una lettera inviata da papa Gregorio Magno (590 – 604), nella quale si rilancia la prassi adottata da S. Martino di Tours che ordinava di non distruggere gli altari pagani, bensì cospargerli con acqua benedetta e ri-dedicarli alla religione cristiana. Così si sarebbe passato “dal culto dei dèmoni all’ossequio del vero Dio». In sostanza, si invitava a convertire i santuari pagani in chiese e siti cristiani, «affinché il popolo continuasse a recarsi di buon grado negli stessi luoghi che gli furono già cari, per adorare ora il Signore». Si ribadiva il principio di fondo: quello che è sacro, continui a rimanere sacro. La “croce” incisa sulla roccia, pertanto, rappresenterebbe il “marchio ufficiale” dell’avvenuta cristianizzazione del masso “pagano” affiorante dal suolo e di tutta l’area dell’huort del Carmine. Al tempo stesso è la testimonianza di una comunità spirituale di luoghi abitati da tempi remoti,di un’antica comunità con riti, tradizioni, culti agresti transitati, gradualmente, in ambito cristiano.
Su queste problematiche induce il saggio di Mastrolia che richiama non solo la memoria dell’identità collettiva fondata su miti e narrazioni intrise di lavoro, religiosità e magìa ma offre spunti per ulteriori e promettenti ricerche storiche e antropologiche.
All’autore è da riconoscere un merito che va ben oltre il culto di Sant Runat in quel di Contursi Terme.