Non c’è festa di S. Gerardo, Santo Patrono di Potenza, in cui non si canti Lu braccial; non c’è festa di matrimonio di sposi lucani in cui non ci si scateni al ritmo di Chi s’è magnà la zita la prima sera; non c’è sagra di paese in cui non si intoni, a squarciagola, E foss muort tata e no lu ciucc. Eppure sono pochi quelli che conoscono la carriera artistica di Michele di Potenza, il cantante, cioè, che ha portato alla ribalta queste canzoni. Bene, quindi, ha fatto Walter De Stradis, che nel libro Lo chiamavano Michele di Potenza, avvalendosi della preziosa collaborazione della famiglia, dà informazioni necessarie a ricostruirne l’identikit perduto.
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NOTA DELL’EDITORE
Non c’è festa di S. Gerardo, Santo Patrono di Potenza, in cui non si canti Lu braccial; non c’è festa di matrimonio di sposi lucani in cui non ci si scateni al ritmo di Chi se magnà la zita la prima sera; non c’è sagra di paese in cui non si intoni, a squarciagola, E foss mort tata e no lu ciucc. Eppure sono pochi quelli che conoscono la carriera artistica di Michele di Potenza, il cantante, cioè, che ha portato alla ribalta queste canzoni.
A dispetto del notevole successo che accompagnava, negli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, ogni concerto di Michele di Potenza, purtroppo scarse sono le informazioni che si possono ricavare dai ritagli di giornali dell’epoca. Altrettanto pochi sono gli scrittori che gli hanno dedicato qualche loro riflessione. Non esiste, infatti, una pubblicazione sulla sua vita privata e su quella professionale ed artistica. Bene, quindi, ha fatto Walter De Stradis, che nel libro Lo chiamavano Michele di Potenza,, avvalendosi della preziosa collaborazione della famiglia, dà informazioni necessarie a ricostruirne l’identikit perduto.
Conosciuto come “Michele di Potenza”, all’anagrafe si chiamava Michele Mancino. Era nato a Potenza il 4 novembre 1931, in Vico Crisci, in pieno centro storico. Dopo aver conseguito la terza media, Michele interruppe gli studi e, appena diciottenne, entrò nell’Arma dei Carabinieri. Prestò servizio prima a Pietralcina, poi a Napoli. Dopo circa sette anni, partecipò a un concorso indetto dal Comune di Napoli entrando nel corpo dei Vigili Urbani della città. Da quel momento, tornerà a Potenza soltanto per ragioni artistiche, sportive, o per far visita a parenti e amici.
Nella sua vita artistica, per quanto detto, si possono individuare due momenti: un periodo prevalentemente napoletano e uno prevalentemente potentino. Nel periodo napoletano, il suo primo nome d’arte fu Gino Valli col quale registrò Ciucciariello Napulitano, inno ufficiale per il Napoli Calcio. Sempre, con lo stesso nome, nel 1966 registrò Forza Potenza, inno del Potenza Calcio. È questo il periodo in cui è molto legato alla canzone napoletana. Frequenta artisti e cantanti napoletani molto famosi, quali Mario Merola, Peppino di Capri, Nunzio Gallo, Tonino Apicella… Con Nino Fiore, nel 1964 e 1965, partecipa al Festival “Barca d’oro”. Non è raro, in quel periodo, trovare, su cartelloni di spettacoli con cantanti napoletani, il nome di “Michele di Potenza, rappresentante del Folk Lucano. Probabilmente da qui deriva la trasformazione del suo primo nome d’arte (Gino Valli) in “Michele di Potenza”. Lavora con musicisti come Pietro Avitabile, e con attori di cabaret come Enzo De Caro facente parte del trio La smorfia dell’indimenticato Massimo Troisi.
Negli anni Sessanta, quando in Italia arriva la “seconda ondata” del Folk Revival, Michele di Potenza, diventato epigono della musica Folk lucana, porta al successo brani che entrano nella storia della musica popolare e dialettale potentina come: Lu braccial, Visciledda, Chi s’e’ magnà la zita?, Cuntana mia, Beat a Rocc, E foss mort’ tatt e no lu ciucc’, Na mamma ca chiang, Quant’è bello lu primo amore, La vendemmia, Rusina si Dio Vol… Ai concerti, Michele si presenta in costume tradizionale, con l’asinello al seguito e la chitarra a tracolla; nelle feste di paese, di piazza e di contrada, al suo arrivo sul palco, si registrano vere e proprie ovazioni. Non mancano le esibizioni canore all’estero, come “esportatore” delle tradizioni nostrane. Si reca, infatti, in Germania, in Giappone e in Canada.
A Potenza, però, è preso anche da altre passioni. Nella seconda metà degli anni Settanta, in Corso Umberto, nei pressi di Porta Salza, Michele apre il circolo artistico “Pretoria 125”. Si dedica alla pittura realizzando, più che altro, paesaggi della “vecchia città”. Appassionato anche di boxe, negli anni Settanta fonda, sempre nel capoluogo lucano, la “Nuova Pugilistica Lucana”, di cui è Presidente. Organizza insieme al celebre Rocco Mazzola, eventi e incontri anche di alto livello.
Un’altra passione, coltivata per tutta la vita, fu quella di “sfondare” nel mondo del cinema. Per la verità, il suo esordio quale attore, risale già agli anni Sessanta quando interpretò il ruolo del brigante Crocco. In qualità di comparsa, nel 1981, partecipò al film di Enzo De Caro, Prima che sia troppo presto. Appare anche in alcune scene del film Celebrità con Nino D’Angelo, protagonista assoluto del film. Nel 1982 prese parte al film Tradimento, con Mario Merola, per la regia di Alfonso Brescia. Nel 1983, nel lungometraggio E la Nave va di Federico Fellini, interpretò il ruolo di uno zingaro. Purtroppo, improvvisamente, a causa di un cancro fulmineo, viene meno a Napoli, il 22 luglio del 1983.
Leggere i testi delle canzoni di Michele Potenza vale più di un saggio sulla nostra cultura contadina. Le sue canzoni, infatti, offrono sempre un incisivo spaccato nel quotidiano dei contadini che, fino al 1950, costituivano gran parte della popolazione lucana. Basti pensare a Lu braccial, vero e proprio inno al più umile tra i lavoratori di campagna, cui motivo di gioia, se non di gaudio, era il solo pensiero che Dumenica – dice – m’aggia mett lu uariniedd, il costume tradizionale della festa, da indossare per la processione in onore di S. Gerardo. Celeberrimo, seppure blasfemo, è il ritornello in cui afferma, in maniera forte e violenta, l’attaccamento e la devozione della gente al santo patrono, designato “Generale di Potenza”, cioè suo condottiero “S.Gerard prutettor di Potenza generale, gn’anna fa piglià lu mal a chi l’hanna disprezza”.
Miseria e povertà, fino al disamore e al grottesco, sono in E foss mort’ tatt e no lu ciucc’, in cui si piange la morte dell’asino, “vettura” e unità lavorativa più importante dello stesso padre di famiglia, ormai inabile e improduttivo, frequentatore assiduo della cantina.
Con Cuntana mia, si entra, quindi, di prepotenza nei vicoli del centro storico, regno della donna, animato da un via-vai di “comari” che entrano ed escono dalle proprie case per chiedere alla vicina ciò di cui si ha bisogno in quel momento. In altre canzoni vi ritroviamo gli amori e le passioni dei giovani di allora che, in un periodo in cui le ragazze erano soggette a forte vigilanza da parte dei genitori e dei fratelli, speravano di acchiappare “allanzacresa” (cioè all’improvviso) le loro Visciledda per esternare i propri sentimenti o per coronare il sogno d’amore come in Rusina si Dio vol.
Insomma, grazie a “Michele di Potenza”, e grazie a Walter De Stradis, suo scopritore, si apre una porta in più, soprattutto ai giovani, per sentire più forte, e con orgoglio, la propria appartenenza e identità.
FRANCO VILLANI
INFORMAZIONI:
Autore | Walter De Stradis |