Il lettore, più e meglio che in ogni documento di archivio, vi troverà lo stesso mondo di dolore e di follia, di cui narrarono grandi scrittori quali, fra gli altri, Remarque, Lussu, Hemingway, Soffici, Petraccone, Jahier, Stuparich, Serra, Ungaretti, tutti poeti-soldati, sconvolti dalla immanità della tragedia. Matera – annota il prof. Caserta – con i suoi dibattiti ideologici, con i suoi mutilati, decorati, morti, invalidi e, perché no?, disertori, riflette, come in un frantume di specchio, tutto quanto avvenne in altre città, nazioni, nell’Europa tutta, e oltre. Forse, però, per Matera, tutto accadde con una intensità di dolore e costernazione maggiore che altrove. Si dette il caso, infatti, che i contadini Eustachio Vincenzo, Donato Vito e Bellisario, a differenza dei commilitoni di altre regioni, nulla sapessero ancora ”d’Italia e d’Austria, di libertà e indipendenza. E non sapevano né leggere né scrivere”, anche se qualcuno, proprio in guerra, imparò.
Prezzo: | €13.00 |
SKU: | 9788898200344 |
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Prologo
Come editrice Villani, siamo contenti di pubblicare questo lavoro del prof. Giovanni Caserta. La ragione del nostro contento poggia innanzitutto sulla personalità del prof. Caserta, nostro collaboratore e consulente. L’altra ragione è nella produzione della prima e unica opera dedicata alla Grande Guerra nella città e dalla città di Matera. Rispondiamo, così, anche ad una sollecitazione del Ministero dei Beni Artistici e Culturali, che, nel 2014, nel primo centenario dello scoppio della Grande Guerra, invitava tutte le Prefetture italiane a costituire un Comitato che ne ricordasse cose, eventi e uomini. L’invito era a ricordare, non certo a celebrare. Della Grande Guerra, infatti, è difficile fare celebrazioni, essendo stata, pur dopo la seconda guerra mondiale, la più feroce e crudele guerra che si sia mai combattuta. E per una serie di ragioni.
Si trattò innanzitutto di una guerra di posizione, fatta in trincea o trincera. Per la prima volta si usarono aerei da bombardamento, carri armati, mitraglie e cannoni. Ancor più sconvolgente fu l’uso di gas velenosi, che portavano la morte tra dolori insopportabili, o anche la pratica dell’avvelenamento dei pozzi. Si moriva come le mosche. Spesso gli scontri avvenivano con la baionetta, in un selvaggio corpo a corpo, guardandosi negli occhi. Erano assalti da un trincea all’altra, che, divise da filo spinato, erano distanti, a volte, solo quaranta – cinquanta metri. La qual cosa non impedì, in una notte di Natale, di intonare insieme, amici e nemici, canti natalizi e scambiarsi doni. Sotto la divisa c’era pur sempre l’uomo, anzi, il più delle volte, un ragazzo di appena diciotto – vent’anni.
Di quella notte è documento una vasta lirica di Padre Marcello Morelli, personaggio materano di alta statura culturale e morale, padre francescano, poi sacerdote col nome di “abate”, cappellano militare nell’ ospedaletto da campo n. 152. In veste di cappellano, Padre Marcello, come Padre Semeria, Padre Minozzi, Padre Agostino Gemelli e non pochi altri, visse la guerra dall’interno, attraverso le sofferenze e i lamenti dei feriti, spesso moribondi, che, al momento della “fuggente luce”, inviavano l’ultimo saluto ai genitori, alla mamma soprattutto, ai figli, alle mogli. Di qui l’alto valore della ripubblicazione di Patria, raccolta poetica da Padre Marcello, dedicata alla guerra e ai feriti dell’ospedaletto. Il lettore, più e meglio che in ogni documento di archivio, vi troverà lo stesso mondo di dolore e di follia, di cui narrarono grandi scrittori quali, fra gli altri, Remarque, Lussu, Hemingway, Soffici, Petraccone, Jahier, Stuparich, Serra, Ungaretti, tutti poeti-soldati, sconvolti dalla immanità della tragedia. Matera – annota il prof. Caserta – con i suoi dibattiti ideologici, con i suoi mutilati, decorati, morti, invalidi e, perché no?, disertori, riflette, come in un frantume di specchio, tutto quanto avvenne in altre città, nazioni, nell’Europa tutta, e oltre. Forse, però, per Matera, tutto accadde con una intensità di dolore e costernazione maggiore che altrove. Si dette il caso, infatti, che i contadini Eustachio Vincenzo, Donato Vito e Bellisario, a differenza dei commilitoni di altre regioni, nulla sapessero ancora ”d’Italia e d’Austria, di libertà e indipendenza. E non sapevano né leggere né scrivere”, anche se qualcuno, proprio in guerra, imparò.
Franco Villani, editore
INFORMAZIONI:
Autore | Giovanni Caserta |