Il volume narra il mondo contadino del sud. Storie immerse in splendidi e spettacolari paesaggi incontaminati. Moralità e rettitudine confliggono con il lato oscuro del passato: la violenza, il sopruso, la povertà e la superstizione che la facevano da padrona nel mondo antico descritto.
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Recensioni
Prefazione
Donata Maria Forliano, docente
“…C’è in voi uomini una specie di vergogna… ci tenete a mostrarvi cattivi, peggio di come siete. Così va il mondo! (da “Il cane che aveva visto Dio”). Che belle, queste parole di uno dei racconti di Pinuccio, mi sembra di cogliere,in esse, tutta l’essenza umana di un mondo che egli sente così vicino a sé, di cui respira avidamente ogni fibra, ogni colore, ogni sfumatura.
Di certo, conosciamo già gli aspetti dominanti della narrativa del filone meridionalista e del “mito del popolo” che, attraverso le pagine di autori come Levi, Pratolini o Scotellaro (per citarne solo alcuni), lascia trasparire un profondo interesse per quei mondi e quelle culture quasi arcaiche, spesso mitizzate come depositarie di un bagaglio prezioso di umanità, di profondi valori morali. Perciò, la materia non è nuova. Eppure, leggendo i racconti di Pinuccio, avverti un qualcosa di particolare: non una forma di denuncia sociale, né una mera e patetica rievocazione nostalgica di un qualcosa che non può più…essere; ci senti un mondo vivo, palpitante, nel quale ti immergi con commozione e che ti intride l’anima di cose vere, che balzano, con nitidezza e forza, nell’immaginario del lettore, nei suoi ricordi e nella sua realtà, per quanto possa essere lontana e diversa. Come può non emozionarti la purezza di quel bambino che “con gli occhi chiusi guardava il mondo”? o il calore dell’abbraccio tra lui ed il suo medico salvatore? Quell’amore così ingenuo, quasi goffo, tra Sara e Francesco, che però non avrà la forza per abbattere le muraglie della maldicenza e dei pregiudizi della gente? E come non riflettere su quella strana, quasi perversa, idea di giustizia che emerge dal racconto “Poi tutto fu leggenda”? La giustizia del più forte, la logica del barone-padrone, a cui corrisponde spesso la resa del più debole, ma, talvolta, anche la violenza di quest’ultimo, che non ha altre armi se non quella della vendetta, dell’occhio per occhio, dente per dente, del combattere fino all’ultima goccia di sangue. Eppure ci cogli, sia pur nella brutalità degli istinti, una solidarietà forte, una grinta che “graffia”, un mondo spesso cattivo, ingiusto, crudele. Una galleria di personaggi varia e multiforme , da quelli più dolci e miti a quelli più violenti, da quelli “normali” sino alle stranezze e alle deformità più singolari : come dimenticare “Lu’ pump’nar’ ” o “lu Mummaciedd’ ”? o, ancora, “lo Scemo del paese”? oppure la cattiveria e la crudeltà di “Rocco lu zuopp’ “ che imperversa sul suo innocente cavallo, lasciandolo morire di fame? Mi sembra la copia, ancora più truce e sinistra, di quel Rosso Malpelo di verghiana memoria, che pure, però, aveva avuto pietà del suo amico Ranocchio. E che dire delle poesie? Immagini semplici, ma forti ed intense, versi limpidi, mai ricercati, eppure impreziositi da particolari metafore e similitudini, da una bella e ricca affettivazione, da un lessico vivace, ma anche delicato e tenue; ci respiri ricordi, speranze, talvolta malinconia, o desiderio, e i sentimenti, si sa, travalicano ogni epoca o confine cronologico, ogni mentalità o concezione vita. Un’opera sospesa tra memoria, narrazione e confessione lirica: e, forse, la sua grandezza risiede proprio in quel sapiente equilibrio tra realismo e suggestione, tra speranza e disincanto, tra realtà e illusione. Bravo Pinuccio. Veramente.
INFORMAZIONI:
Autore | Giuseppe Briamonte |
Isbn | 978-88-98200-030 |