Il volume ripercorre la millenaria storia dei Sassi di Matera, dai primi insediamenti umani all’arrivo delle tante popolazioni che hanno occupato, in modo sistematico, ogni cavità naturale della Murgia materana. Le scene documentano in maniera efficace le ricchezze architettoniche della Matera barocca ma anche le terribili condizioni di vita degli abitanti dei Sassi fino alla vibrante protesta di Carlo Levi e della sorella Luisa. Il resto è storia di oggi: dall’abbandono e degrado dei Sassi degli anni ’60-70 del secolo scorso alla dichiarazione dell’Unesco, nel 1993, di Matera Patrimonio mondiale dell’umanità e, alla designazione di Matera Capitale della Cultura Europea per il 2019.
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SKU: | 9788898200221 |
Recensioni
Prefazione
Giovanni Caserta
Matera non è una città bella, nel senso comune che si dà a questo aggettivo. Non obbedisce, infatti, ai canoni estetici cui obbediscono le città d’arte. Ebbe invece ragione Luisa Levi, neuropsichiatra infantile, sorella di Carlo Levi, che, arrivando a Matera nel caldo settembre del 1935, la definì una città “impressionante”, cioè tragica. È poi accaduto che architetti e urbanisti, venuti dopo, hanno concentrato tutta la loro attenzione su “quel che pare” dei Sassi, sforzandosi di cogliere e rimarcare il dettaglio, l’intarsio, il comignolo, la balconata, ovvero, esercitandosi nella analisi e descrizione dell’insediamento in tufo, hanno indugiato nella contemplazione del tutto, fino ad immaginare una inesistente intenzionalità creativa. Sta di fatto che, per trovare indagini sociologiche e antropologiche, bisogna risalire agli anni ’45-’50 del secolo scorso. Si vuol dire che nessuno, da quando si è posto il problema del recupero e del restauro, si è più preoccupato di entrare nella grotta, a ritrovare e risentire il respiro, le sofferenze, le malattie, il freddo, il buio, che spingevano a stringersi e a farsi caldo col proprio fiato e con quello degli animali. L’immagine che dei Sassi oggi si ha, perciò, estetizzante, è spesso fuorviante. Per secoli quel mondo, dall’alto del “piano”, ove risiedevano baroni e galantuomini, fu guardato con sospetto e quasi vergogna, fino ad impedirsi e a impedire ai propri figli la discesa agli “inferi”. Bisognava sgomberare e liberarsi di quegli abitanti perché la città “di sopra”, inaspettatamente, ne rimpiangesse lo svuotamento e ne riproponesse il popolamento. Ma l’attenzione, ormai, era tutta rivolta ai muri, al tufo e alla loro possibile mercificazione. Non è meraviglia, perciò, se qualche turista, oggi, cercando i Sassi come pietre e come paesaggio petroso, e guardando le facciate di tufo rimesse a nuovo, quali non furono, si lasci andare ad esclamazioni di compiaciuta meraviglia. Franco Villani, editore e amico, non incantato dalle apparenze, mi chiese un giorno di accompagnarlo nei Sassi, a percorrerne le “scaricate” ripide, sconnesse e scivolose, fino a superare la soglia delle grotte. Ma non voleva parole. Alleatosi con Franco Carella, pittore e disegnatore dalla mano veloce, voleva, per Matera, una esperienza già consumata per Calvello, suo paese natale. Voleva “girare” un film, ma non come si intende comunemente e se ne girano tanti, intesi ad utilizzare i Sassi come paesaggio, e a fini spettacolari. Voleva rappresentare gli uomini e la vita; voleva entrare nelle grotte, aggirarsi per vicoli e vicinati, voleva un “film” di animazione. E Franco Carella si dette a disegnare in successione la storia e la cronaca viva dei Sassi, fino alla legge di risanamento, diventata, presto, legge di evacuazione e abbandono. A raggiungere così difficile obiettivo, ci voleva la matita di un abile disegnatore, ma guidato dal cuore e da personali ricordi; e ci voleva anche la rapida incisività di una didascalia, che facesse da spia al disegno. E così è stato. Il “film”, non fumetto, non libro, è ora completo. Si vedono i volti delle donne, i contadini, gli oggetti, gli angoli in cui si consumarono secoli di lavoro e fatica, nascite e morti nel freddo e nel buio, in una drammatica, ma anche epica lotta di adattamento al tufo. I Sassi, insomma, ci sono perché ci fu chi li scavò, li abitò e li conservò alla riflessione, prima ancora che alla contemplazione. Si vuol dire, in definitiva, che essi non furono pietre, ma uomini, anzi, sotto certi aspetti, “eroi”, che fecero della loro città, “capitale contadina” nei secoli, un “patrimonio dell’Unesco” nel 1993, la “capitale europea della cultura” nel 2019.
INFORMAZIONI:
Autori | Carella-Caserta-Villani |