Un giovane ventenne si trasferisce dalla provincia in una grande città, Roma. Sono gli anni Settanta, anni in cui in tutto l’Occidente si respira un’aria di lotta sociale e di rivoluzione culturale che, cementando i sogni collettivi rivolti verso più moderne forme di democrazia, libertà e giustizia, ne legittimava anche, in vari settori dell’opinione pubblica italiana, il prezzo da pagare per la loro realizzazione.
Il giovane è attratto dall’arte e un giorno conosce un pittore anziano che ha una visione economico-elitaria del complesso sistema del mondo dell’arte molto diversa da quanto, romanticamente, pensava.
Prezzo: | €12.00 |
Dimensione: | 15cm x 21cm x 1cm (LxWxH) |
Peso: | 100 kg |
Recensioni
“Il ragazzo che amava l’arte” di Canio Franculli è un’illuminante introspezione, un racconto in soggettiva che scorre veloce, da un foglio all’altro. Una scrittura limpida dal pregio inestimabile di sapersi sofisticare nel più naturale dei modi. Ho portato questo scritto in viaggio con me e non ricordo nient’altro. Proprio non me ne sono accorto dello scorrere di autostrade, delle ruote gonfie d’aria contro l’asfalto fra clacson e radio, dei riverberi delle sale, del caos delle prove del suono, dei backstage nelle lunghe attese prima dei concerti, degli applausi, i bis, le nuove partenze… Niente che mi sia rimasto in testa più di queste pagine “fra l’utopia della libertà ed il pensiero dominante”.
In questa opera è la pittura il tema fermo attorno cui gravitano personaggi insoliti. Con piccoli dettagli di surrealismo narrativo l’autore sa renderli speciali. Personaggi che vagano fra le righe in cerca del proprio stesso racconto come suo padre che porta il piccolo Livio dalla provincia di Rieti a Milano a vedere una mostra di Dalì. Perché è questo il nome del protagonista Livio, nome che si palesa distrattamente per la prima volta in uno dei tanti godibilissimi dialoghi a varie pagine di profondità della narrazione.
Le forme, i colori di Dalì; esperienza mai dimenticata: di quelle che segnano profondamente. In grado di contribuire non poco a quel “malessere di mondo normale”: quello dei “grandi numeri che messi tutti insieme fanno dappertutto le stesse cose” e che non hanno tempo per l’arte per via del quotidiano dovere di sopravvivenza economica imposto dalla condizione sociale. A differenza di suo padre, discepolo della pittura per corrispondenza, Livio parte alla ricerca della propria storia e dei suoi “invisibili simili” lasciando la provincia per andarsene a Roma. Passando da un “alloggio per topi” a San Lorenzo.
Qui fa il magazziniere di profumeria intorno a quel marzo di fine anni settanta, in cui via Fani sarebbe rimasta alla storia per sempre.
Giorni passati in vicoli di scaffali dietro una grande tenda di velluto fra profumi e “spesa proletaria” alla Feltrinelli, per mitigare i morsi della “fame del cervello”. Fra Biografie di Mondrian e riviste monografiche dei contemporanei come quella di Rothko, Livio incontra i suoi simili, forse non così “invisibili”, come Antonio. Pittore conosciuto in vineria dal foulard viola e pantalone a quadrettoni che un tempo dipingeva strisce geometriche. Consapevole degli ideali capitalistici e consumistici che i critici d’arte devono preservare (mentre decidono il futuro della storia dell’arte) Antonio è un artista autentico. Se ne saranno accorti, chissà! Dino e Nina che espongono le sue opere a pagamento nella mostra collettiva dell’Artgallery. Una frequentazione preziosa questa per Livio che culmina nel delirio di un capitolo meraviglioso, quello in cui il protagonista viene iniziato all’arte dei colori dal maestro ed amico Antonio. Un confronto intenso in cui ci sono davvero tutti, da Erich Fromm a De Chirico ed Allen Ginsberg, da Giosuè Carducci a Lucio Dalla con De Andrè, Kerouac, i musei ed il Papa.
Il tutto spruzzando colori senza mescolarli ed incollando tele fra hashish e Barolo.
Ce ne sono di donne su questi fogli, che passano dal cuore alla carne senza fermate come Anna, la bella collega in profumeria. Tanto bella da farci l’amore e bussare ancora alla sua porta. Da frequentare le sedute psicanalitiche per dimenticarla sotto le cure di Cristina: un quadro vivente di Botero desideroso di sesso da cui fuggire un attimo prima della deflorazione. Oppure Marinella da penetrare nei segreti di un cinema. Angela, archeologa dal “Matisse originale”; eterea e pallida da sembrare un “foulard buttato sul letto”. A lei lo scrittore dedica un intero capitolo grazie alla dote della “multidimensionalità quantistica” . La stessa che andrà a sedurre un capitolo più in la fra un Seneca del “non giudico a me estraneo nulla di ciò che è umano” ed un pasto per cani.
Emanano energia viva queste pagine: gli anni di piombo, la contestazione giovanile, il fermento della “romantica truppa di sinistra” con il compagno Gianni che se ne va in giro fra questi fogli con occhiali Ray Ban e Maggiolone Millesei nonostante il suo modesto impiego in un ristorante. Andrea, intellettuale brillante, corrispondente all’estero per un grosso giornale, che “s’è rotto le scatole di viaggiare”. Personaggio dai dialoghi intensi, da Marx alle Bierre e i Nas, la strage
di piazza Fontana, e la massoneria fino al fatto che l’arte non è per i “mangiatori di patate” ma per quelli come Duchamp che oltre al talento hanno avuto il portafoglio gonfio.
Il finale riserva un inatteso cambio di regia, un mistero inevitabile.
“Il ragazzo che amava l’arte” è un libro giusto, un espediente letterario prezioso per questi anni. Intellettuali del calibro di Canio Franculli sono rari e quei pochi continuano ad auto-seppellirsi nel “pensiero dominante” di un sistema politico, sociale e lavorativo quanto mai impensabile per le nuove generazioni. La reale ragione della crisi del sistema filo-occidentale di oggi, è la consapevolezza, sempre maggiore, che attraverso il soldo i grandi sistemi hanno manipolato e condannato le classi sociali meno abbienti a privarsi del bene più prezioso dell’esistenza: il tempo. E se è vero che l’arte è una pratica per ricchi, del borghese che non ha altri pensieri, è pur vero che sono esistiti i folli che fino all’ultimo colpo di reni di dignità hanno difeso, a discapito della moneta, la ricchezza più autentica della libertà, del tempo, rendendo questo mondo erede di meraviglia. Quella in grado di andare a prendere Dio in persona per mano e di consegnarlo a quanta più umanità possibile.
INFORMAZIONI:
Autore | Canio Franculli |