Ci si domanda a che cosa può servire una traduzione in dialetto, considerata la grandezza e la complessità di un’opera, tanto studiata e conosciuta. Sono diverse le ragioni che possono giustificare tale operazione. La trascrizione dell’Inferno in dialetto potentino potrebbe servire alla conservazione di questo, come in un archivio. Notevoli considerazioni linguistiche si possono fare sulle forme di trasposizione che hanno richiesto al traduttore creatività e brillantezza. Ci si augura che la traduzione in dialetto possa servire ad incuriosire soprattutto il giovane lettore potentino, sì da spingerlo a risalire all’originale, magari per una lettura comparata. Ne saranno contenti l’autore e l’editore. E, nell’aldilà, anche Dante, che al “volgo” volle parlare.
Prezzo: | €20.00 |
Dimensione: | 15cm x 3cm x 21cm (LxWxH) |
Peso: | 400 kg |
Recensioni
Nota dell’editore
Nel 2021 ricorrerà il 700° anniversario della morte di Dante.
Sono già in atto grandi preparativi. In data 17 gennaio 2020, il Consiglio dei Ministri ha fissato, per il 25 marzo, la Giornata Nazionale di Dante come momento di riflessione annuale intorno al poeta nazionale per eccellenza, che, primo anche nella lingua, lanciò e vigorosamente sentì l’Italia come nazione e come patria.
Come casa editrice, abbiamo già pubblicato il volume di Giovanni Caserta, Dante, settecento anni dopo, a cui segue, ora, la pubblicazione, in dialetto potentino, di Inferno, na scesa e na sagliuta di Giuseppe Laguardia.
Come è noto, fino ai tempi di Dante, la lingua usata dagli scrittori era il latino. La Divina Commedia, composta fra il 1304-7 e il 1321, è la prima grande opera in italiano (volgare rispetto al latino).
In realtà, la lingua usata da Dante era poco più che il dialetto fiorentino, cui Dante diede dignità di lingua nazionale. Si consideri che ben 1600 parole del nostro vocabolario di base, costituito da circa 2.000 vocaboli, sono già usate nella Divina Commedia il cui titolo originario era Comedìa. È così, infatti, che Dante chiama la sua opera nei canti XVI (rigo 128) e XXI (rigo 2) dell’Inferno. Quando poi, nel Paradiso, si rende conto della complessità della materia trattata, la definisce “Poema sacro”; l’aggettivo “divina” le fu attribuito da Giovanni Boccaccio in Trattatello in laude di Dante, scritto fra il 1357 e il 1362. Ma è solo dall’edizione del 1555 che l’opera prende il titolo definitivo di “Divina Commedia”.
Composta da tre cantiche essa comprende un totale di cento canti, composti di terzine in rima incatenata. La prima cantica, l’Inferno ha 34 canti; il primo funge da introduzione all’intera opera. La lunghezza di ogni canto va da un minimo di 115 versi ad un massimo di 160. In tutto sono 14.233 versi.
Non ci è pervenuto il manoscritto autografo di Dante. Per fortuna, subito dopo la scomparsa del poeta, il testo fu copiato, a mano, più volte. Di Giovanni Boccaccio si conservano addirittura tre redazioni, a loro volta tratte da precedenti manoscritti. I primi risalgono al 1330, cioè a dieci anni dalla morte del sommo poeta.
Il poema, come è noto, è un viaggio allegorico della salvezza umana. Partendo dalle pene infernali dei dannati, attraverso il Purgatorio, si raggiungono, nel Paradiso, le glorie celesti. Secondo le indicazioni dei maggiori critici, il tragitto si svolge nei sette giorni che vanno dall’8 al 15 aprile del 1300. La mattina dell’otto aprile (Venerdì Santo) Dante esce dalla “selva oscura” e inizia la salita del colle. Qui incontra tre fiere e Virgilio. La vista dell’Inferno dura 24 ore e termina al tramonto del 9 aprile. All’alba del 10 aprile (Domenica di Pasqua) inizia la visita del Purgatorio che dura tre giorni e tre notti. All’alba del quarto giorno (13 aprile) Dante viene raggiunto da Beatrice. A mezzogiorno, salgono in Paradiso trascorrendovi 2-3 giorni. Il viaggio terminerebbe il 15 aprile. Secondo altri commentatori, il viaggio si svolgerebbe dal 25 marzo (giorno dell’Annunciazione) al 1° aprile.
Ci si domanda a che cosa può servire una traduzione in dialetto, considerata la grandezza e la complessità dell’opera, tanto studiata e conosciuta. Sono diverse le ragioni che possono giustificare tale operazione.
È noto che, a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, con la scolarizzazione di massa e l’avvento della televisione e dei mezzi di comunicazione di massa, l’uso del dialetto, come prima lingua imparata nei primi anni di vita, è andato via via scomparendo, o quasi. Giuseppe Laguadia ha inteso rispolverare i suoi ricordi adolescenziali appartiene di quando assisteva alla rappresentazione delle commedie in vernacolo potentino di Tonino La Rocca e di Gigino Labella.
La trascrizione dell’Inferno in dialetto potentino potrebbe servire alla conservazione di questo, come in un archivio.
Tuttavia, a giudicare la cosa in sé, notevoli considerazioni si possono fare sulle forme di trasposizione, che hanno richiesto brillantezza di invenzione, affidate alla creatività del traduttore.
Non si dispera, in terza istanza, che la traduzione in dialetto possa servire ad incuriosire soprattutto il giovane lettore potentino, sì da spingerlo a risalire all’originale, magari per una lettura comparata. Ne saranno contenti l’autore e l’editore. E, nell’aldilà, anche Dante, che al “volgo” volle parlare.
INFORMAZIONI:
Autore | Giuseppe Laguardia |