La ricerca ricostruisce le vicende delle comunità “raccolte” intorno ai 23 plessi scolastici che, storicamente, si sono insediati nella diffusa realtà delle frazioni di Avigliano: 23 luoghi di “eccellenza” che, nei cento anni esaminati, hanno prodotto cambiamenti profondi. Quei plessi scolastici, infatti, sono stati forse il più importante fattore di sviluppo tra i pochi messi in campo, perché capaci di disseminare germi di ammodernamento e progresso sociale e civile.
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Recensioni
Franco Sabia, direttore della Biblioteca Nazionale di Potenza
Ho letto le bozze della ricerca con grande curiosità e interesse e sono grato all’Autore per avermi dato il piacere di essere tra i primi a godere dei risultati del prezioso lavoro. Appare del tutto evidente che è stato un impegno lungo, svolto con amore verso la propria comunità e con il piacere di conoscere e far conoscere un periodo di storia, pur se indagato dal punto di osservazione prediletto dall’Autore.
La ricerca affronta un arco temporale abbastanza lungo, 1912-2012: il nostro secolo, quello che Eric J. Hobsbawm ha definito “il secolo breve”, ma, che come documenta il volume con leggerezza e precisione – per chi, come i contadini aviglianesi, ha dovuto sopportare privazioni, miseria, umiliazioni e vessazioni di ogni genere è stato un secolo “lungo”, molto lungo.
Un secolo nel quale, i contadini aviglianesi hanno imparato a “passare” fiumi in piena e ad attraversare tratturi fangosi; hanno saputo viaggiare in nottate scure e giornate assolate; hanno imparato a sopravvivere al freddo delle notti senza fuoco e ai lunghi giorni senza pane; hanno accudito “morre” di porci e mandrie di pecore altrui; hanno lottato contro le frane e contro il malocchio; hanno percorso le trincee della prima guerra mondiale e sono sopravvissuti alle bombe della seconda; si sono dovuti flettere come giunchi sotto l’imperiosità della prepotenza e hanno imparato a non aspettarsi niente da nessuno; hanno costruito il loro futuro sulla solidarietà e si sono difesi dalla prepotenza, spesso abbozzando un sorriso bonario, altre volte con la lama di un coltello tra le mani. Eppure quelle comunità di uomini e di donne, sparpagliate nelle numerose frazioni di Avigliano, restano convinte di non aver avuto alcun ruolo nello sviluppo proprio e dell’umanità cui appartengono.
Anche i fatti qui ricostruiti, ovviamente, dimostrano che ciò non è vero. È risaputo, infatti, che dovunque ci sono o ci sono state persone che hanno modificato la realtà, lasciando segni evidenti di cambiamento, lì è passata la Storia. Questa regola vale anche per i contadini aviglianesi, che hanno trasformato un territorio disabitato e incolto in un ambiente carico di persone e cose, abitazioni e ambizioni: in una “nuova città", seppur lineare, come la definisce l’Autore. Quei segni, in questo lavoro, sono stati individuati in un particolare “luogo” della vita di quelle donne e di quegli uomini: la scuola.
Il lavoro è il risultato di una precisione e di una chiarezza che tutti riconoscono all’Autore, che ha ripercorso le vicende delle comunità “raccolte” intorno ai ventitré plessi scolastici che, storicamente, si sono insediati nella diffusa realtà delle frazioni di Avigliano: ventitré luoghi di “eccellenza” che, nei cento anni esaminati, hanno prodotto cambiamenti profondi. Quei plessi scolastici, infatti, sono stati forse il più importante fattore di sviluppo tra i pochi messi in campo, perché capaci di disseminare germi di ammodernamento e progresso sociale e civile.
Le scuole sono state, oggettivamente, i presìdi di civiltà e di democrazia in un territorio che non aveva altre istituzioni se non gli amministratori del feudatario. Pur nella loro precarietà e miseria, esse hanno saputo immettere elementi di civilizzazione, almeno per tutta la prima metà del Novecento, fornendo a migliaia di uomini e donne gli strumenti fondamentali del “leggere, scrivere e far di conto” prima e, più recentemente, arricchendo la comunità di livelli alti di competenze e professionalità.
La scuola, infatti, per i contadini aviglianesi, sin dagli inizi del XX secolo, come lo studio ben documenta, ha costituito un traguardo da perseguire ad ogni costo, senza risparmiarsi. Ma fu dopo il primo cinquantennio di Unità nazionale che, in sintonia con quell’epoca giolittiana che assicurò un generale progresso all’Italia, anche nelle campagne di Avigliano arrivarono le prime istituzioni scolastiche, sia pure ubicate in locali di fortuna, fatiscenti e privi di qualsiasi attrattiva per gli insegnanti e per i ragazzi. Anche là, però, arrivò un insegnante, che rappresentava l’unica istituzione dello Stato, portatore comunque di una visione nuova della vita e del mondo.
Quelle prime scuole, tuttavia, non s’insediarono per caso. Furono il risultato di consapevoli rivendicazioni da parte degli aviglianesi ormai residenti stabilmente nelle campagne e nei campi, consapevoli che il loro destino, e quello dei propri figli, non si -sarebbe giocato nel centro cittadino, ma lì: a Sant’Angelo, a Lagopesole, a Paola Doce, a Possidente… Quei contadini, perciò , prima che strade, chiesero ai propri sindaci scuole e maestri. Si vuol dire che quei primi nuclei di classi dirigenti presenti nelle frazioni (gli amministratori dei Doria, i contadini più avveduti, i primi artigiani e commercianti, i primi professionisti) rivendicarono la necessità di costruirsi un’esistenza migliore della loro attraverso di mettere i propri figli in condizione la conoscenza, vero strumento di cambiamento e di profonda rivoluzione democratica e civile. La storia del Novecento dei contadini aviglianesi, insomma, con questo lavoro, si arricchisce di una nuova, importante pagina.
I documenti utilizzati per costruire questo percorso sono i registri scolastici, fonte ancora raramente utilizzata in Italia. Eppure, soprattutto per le comunità ai “margini” degli avvenimenti storici che contano, essi costituiscono una fonte interessante e fresca. In quelle cronache, infatti, vi sono notizie di fatti osservati direttamente dai cosiddetti lavoratori dell’intelletto, registrati con l’intento di comprendere la realtà e modificarla.
Sono documenti che appaiono in tutta la loro importanza testimoniale, soprattutto se li si legge inserendoli nel quadro politico e sociale in cui vennero scritti, come puntualmente fa l’Autore. Dalla lettura della ricostruzione storica si resta sorpresi, fra l’altro, dal come le considerazioni pedagogiche del primo Novecento siano ben diverse da quelle del ventennio fascista, allo stesso modo che quelle dell’immediato secondo dopoguerra sono molto distanti da quelle degli anni Ottanta-Novanta, del secondo Novecento. Eppure un filo rosso le tiene legate, proiettandole verso un progresso ininterrotto. Quest’affresco, restituito alla memoria della comunità aviglianese, può legittimamente aspirare a porsi come un metodo di ricerca che vada oltre Avigliano e aspirare, a buon diritto, a costituire un modello per tutta la Basilicata, se non per l’intero Paese. La microstoria ricostruita in queste pagine, non da intendersi in senso riduttivo, ma come occasione che prova a leggere nelle pieghe più minute delle vicende di un Paese, offre alla consapevolezza collettiva una ricostruzione preziosa per comprendere l’evoluzione di una comunità, fatta di conquiste quotidiane che somigliano a quella che Gramsci definiva una “guerra di posizione”, nella quale si conquista “casa matta dopo casa matta”, ma in cui ogni metro quadrato lo è per sempre. E’ tutta vita vissuta, carne viva e nervi sensibili di persone normali, che – pur nell’estrema lentezza del tempo – costruiscono un cambiamento robusto e stabile. Si consideri solo l’evolversi dei mestieri e delle professioni che, lungo un intero secolo, si sono modificati in proporzione e in denominazione, segnando un cambiamento progressivo inarrestabile. Solo a leggere l’elenco di quei mestieri e di quelle professioni, si comprende quanta strada è stata percorsa, certo non tutta lineare, né tutta in discesa, ma, come per la grande storia, fatta di percorsi ripidi e discese sconnesse, traiettorie lineari e cavità carsiche. E’ il cammino di una comunità “sparsa e dispersa” che, anche negli ultimi cento anni, ha continuato a progredire pur senza riuscire, ancora, ad essere comunità unitaria. Ma, nonostante tutto, come sostiene l’Autore, i fatti raccontati dicono che c’è da essere ottimisti.
INFORMAZIONI:
Autore | Giuseppe Coviello |
Isbn | 978-88-98200-016 |