“Di qui ascolto il deserto, di qui la libertà. Le montagne lontane ed il mare, le voci”. Scrive Rocco su uno dei disegni realizzati nel carcere di Lagonegro dal 22 aprile al 13 novembre del 1986. Tutta la raccolta è impregnata di nostalgia del mondo esterno, di preoccupazioni relative allo stato di recluso, di desiderio di recuperare la normalità del vivere quotidiano. I disegni diventano documentazione della vita carceraria che si svolge in condizioni alquanto precarie, dove bisogni semplici diventano problemi da risolvere, dove il tempo è spesso sinonimo di noia o di ricordo e lo spazio lo devi allargare con la fantasia.
Prezzo: | €20.00 |
Dimensione: | 24cm x 22cm x 1cm (LxWxH) |
Peso: | 200 kg |
Recensioni
Mio fratello
Antonietta Guarino
“Di qui ascolto il deserto, di qui la libertà. Le montagne lontane ed il mare, le voci”. Scrive Rocco su uno dei disegni di questa raccolta, disegni realizzati nel carcere di Lagonegro dal 22 aprile al 13 novembre del 1986.
La frase suscita una certa emozione e fa trapelare la grande sofferenza dell’artista nell’essere isolato dal mondo. È struggente il suo sforzo di assaporare visioni e sensazioni in un posto che limita notevolmente ogni forma d’immaginazione. Un po’ tutta la raccolta è impregnata di nostalgia del mondo esterno, di preoccupazioni relative allo stato di recluso, di desiderio di recuperare la normalità del vivere quotidiano. Ed ecco che questi disegni diventano documentazione della vita carceraria, vita che si svolge in condizioni alquanto precarie, dove bisogni semplici diventano problemi da risolvere, dove il tempo è spesso sinonimo di noia o di ricordo e lo spazio lo devi allargare con la fantasia. In questo posto non c’è colore; le immagini che arrivano attraverso la televisione sono in bianco e nero. Tutto ciò non è retorica, ma è verità, perché ad un recluso è proibito anche avere dei colori (se non pastelli e dopo un certo periodo di tempo).
Da qui ha inizio la reazione di Rocco a voler a tutti i costi dare una normalità a tutto ciò che normale proprio non è: “quell’ uom di multiforme ingegno” prende del caffè e comincia a dare colore a quelle figure e a quegli oggetti con cui deve condividere un pezzo della sua vita. È talmente sicuro del suo progetto che su uno dei primi disegni della raccolta scrive: “In quel crocevia di mille strade e di giungle era di una capanna il fiuto. Lo seguiremo. D’intuito”.
Nonostante abiti una cella di pochi metri quadri, realizza molti disegni, tra i quali quelli di questa raccolta. Non gli sfugge nulla sia negli stati d’animo, sia negli oggetti, sia nelle azioni quotidiane. E allora puoi ritrovare un detenuto che aspetta l’alba insonne, un altro che sogna la fidanzata lontana o il suo paese in montagna, un altro ancora che legge la lettera che arriva da casa o una rivista porno. Viene messo in risalto una mano che afferra una sbarra, una caffettiera, uno sgabello, un piede, un fazzoletto, le carte da gioco, le scarpe, la sigaretta. Ogni avvenimento, che alla persona libera risulta banale, in carcere può scuotere la monotonia della giornata e può creare un momento di distensione purché si abbia curiosità ed interesse. Ad esempio, colui che porta la spesa crea aspettative in chi attende dietro le sbarre l’arrivo di qualcosa di cui ha fatto richiesta; il gatto che miagola nel cortile e che aspetta che qualcuno gli butti giù un po’ di cibo diventa attenzione ad impegnarsi in qualcosa che non appartiene al carcere; l’azione di chi fa le pulizie o del disinfestatore o dell’imbianchino può stimolare a tenere in ordine le proprie cose o la propria persona o a coltivare un hobby ecc…
Spesso nei disegni i detenuti sono riconoscibili per il loro aspetto fisico, caratterizzato o da una muscolatura imponente o da una discreta obesità o dalla mancanza di qualche dente. Sui loro corpi c’è, talvolta, la presenza di tatuaggi o di orecchini e i loro capelli sono rasi a zero oppure molto lunghi. Queste caratteristiche non sembrano essere casuali in quanto l’artista non le mette in evidenza quando disegna persone non recluse. Queste sembrano far parte di un altro mondo: i loro corpi sembrano anonimi e senza storia. Gli unici oggetti per i quali si ravvivano sono le cravatte, le mutande e le fasce nei capelli.
Talvolta sullo sfondo dei disegni sono presenti i secondini. I loro occhi sono bassi o coperti dalle visiere dei loro cappelli. Ciò sembra voler dire che, pur essendo persone che fanno parte dello scenario, non ne prendono parte per mantenere fede al loro ruolo.
Quando però sembra che non ci sia più nulla da descrivere, ecco che Rocco allarga lo spazio mettendo in moto la sua fantasia. Essa fa sparire le sbarre e i muri; non si fa imprigionare e corre dove vuole senza condizionamenti. I disegni relativi a questo stato sono veramente belli: la madre degli uccelli, musica dalla città che dorme, biciclette sull’asfalto… Colori, purezza delle forme e tematiche danno la sensazione che ovunque si possa fare qualcosa di buono purché ci si creda e ci si senta presi.
Certo la libertà è un’altra cosa, soprattutto se è stata la bandiera della vita. Da qui la domanda di riflessione realizzata attraverso un ulteriore disegno: “Svaniva nelle patrie galere quel bellissimo sogno d’ Oriente?”. A questa domanda non risponde con le parole, ma ancora una volta fa capire che i viaggi in Oriente, effettuati in grande precarietà, hanno segnato la sua vita. E disegna maschere, mangiatori di fuoco e santoni. La melanconia tende a prendere il sopravvento. Ciò non deve accadere, e per vincere questi momenti, torna a descrivere col caffè i problemi quotidiani: “Meditazione sul colore residuo”, “Pasti precari”, “Con gli occhi al soffitto”, ecc…
Si può tornare a sognare? Certamente sì. Rocco non si arrende mai. Ritornano i colori, i pesci che volano, l’abbronzatura, la nuotata nel cielo, i paesaggi, gli atleti, i giocolieri, il sole e i sogni, da quello di Icaro a quello di Ulisse, sempre “sorvolando precarietà quotidiane”. Inserisce quindi nella raccolta alcuni disegni effettuati con penna su foglietti di carta diversi e raffiguranti persone recluse. Queste sono accomunate da un’espressione seria e preoccupata dovuta alla condizione vissuta in quel momento anche dall’artista, il quale, per riprendersi nuovamente da questo stato negativo, realizza un disegno che intitola “Nel futuro il colore è guida” che la dice tutta sull’importanza di avere un riferimento nei momenti di sconforto.
Usando il caffè, continua a disegnare secondini, malavitosi e persone libere. Particolari sono i volti di ragazze e bambine e l’immagine di una coppia non più giovane. Alcune immagini successive sono realizzate ad acquerello. Nell’ultima parte della raccolta dà attenzione ai primati, immaginandoli nelle forme più strane. Talvolta li fa assomigliare ad uccelli, altre volte ad orsi o a gorilla, altre volte chiamandoli mostri. Li disegna facendo anche distinzione tra quelli di sesso maschile e quello femminile; i piccoli di primate li fa apparire teneri ed ingenui come tutti i piccoli del mondo. Un solo disegno di questo gruppo – “Il cavallo alato: dal mito dei mostri” – non presenta un aspetto mostruoso. Completa questa raccolta. È la più bella fantasia che l’artista abbia avuto.
INFORMAZIONI:
Autore | Rocco Aristide Guarino |