Si tratta di poesie che toccano la vita in tutti suoi aspetti: il vissuto quotidiano, la natura, l’amore, la fede, con l’occhio e il cuore sempre volti alle sorti dell’umanità. Non c’è apparente ordine di temi: Peppino scriveva come gli dettava il cuore. E se c’è il cuore c’è l’uomo. Se poi c’è l’uomo, ci sono ragioni sufficienti per trovare poesia e andare in pubblico.
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SKU: | 9788898200276 |
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Peppino, maestro per sempre
A leggere le poesie di Peppino, mi arriva l’eco di anni lontani. Sono gli anni belli della giovinezza, quando, all’inizio della mia professione di maestro di scuola elementare, mi recavo nella pluriclasse di Avigliano-Montalto, mia prima sede di insegnamento. Risale ad allora la nostra conoscenza. Non mancano, ovviamente, altri ricordi, che si intrecciano con quelli di Peppino. Rivedo Salvatore Coviello, Salvatore Romaniello e Peppino Coviello di Possidente, Giambattista Sabia di Canarra, Franco Sabia di Paola Doce e altri, con i quali, insieme e con entusiasmo, percorremmo un bel tratto della nostra vita professionale, e non solo. Mi sovvengono passeggiate serali e notturne, quando, affascinati, ascoltavamo Peppino, novello “Socrate”, inteso a fornirci le sue riflessioni didattiche. Sempre ci invitava a svolgere nel miglior modo possibile il nostro difficile compito di educatori, soprattutto in un contesto ambientale culturalmente e socialmente deprivato. Forte allora era in noi, ascoltando Peppino, la speranza di “rifare il mondo”.
Ma come non ricordare anche quelle serate che, spesso, si concludevano nelle trattorie con cene. Ci accompagnava la chitarra di Angiolo Santarsiero, compianto cantore del folk aviglianese. E come dimenticare la sera della vigilia di Natale 1972, quando accompagnai Peppino per le strade e nelle case di Possidente, suonando, sulla fisarmonica, “Tu scendi dalle stelle”, a tutti augurando Buon Natale?
Per un anno intero io e Peppino viaggiammo, sulla stessa macchina, per Campomaggiore, dove insegnavamo entrambi. Posso considerare quell’anno come un vero e proprio tirocinio didattico. Peppino metteva alla prova la mia inesperienza di giovane docente, chiedendomi di fare, non una lezione su contenuti culturali, ma sul “buco nell’acqua”. A lui piaceva fare la “lezione calderone”. Così la chiamava. In quella lezione confluivano tutte le “nozioni” e i “contenuti culturali” possibili, inerenti ad un tema prescelto. Era la cosiddetta lezione per “centro di interesse”, con cui si realizzava il massimo di globalità di insegnamento e apprendimento. Era una buona scuola, senza che la si propalasse per tale.
Poi le nostre strade si divisero. Peppino andò ad insegnare a Potenza, nella scuola a tempo pieno ”Domiziano Viola”; io fui assegnato a Calvello, mio paese natale, che, nella nuova veste di direttore didattico, lasciai dopo soli tre anni di insegnamento. Da allora sono trascorsi trentadue anni, durante i quali poche sono state le volte in cui ci siamo incontrati. E, quando ciò è successo, sembrava che il tempo non fosse mai passato. Vivevamo ancora il senso di appartenenza a quella “comunità” di persone, che l’amore per l’infanzia unisce dentro e fuori della scuola.
Speravo di vedere Peppino il 17 dicembre 2006 a Possidente, dove l’amico-collega Peppino Coviello, mi aveva chiamato a parlare del “maestro” Pace in occasione della assegnazione del premio “Carpine d’argento”. Ragioni di salute impedirono a Peppino la partecipazione. Purtroppo non l’ho più rivisto, essendo scomparso il 3 aprile 2010. Grande, perciò, è stata la mia gioia quando, inaspettatamente, la figlia Enza è venuta a propormi di pubblicare sue poesie. È stata l’occasione per ripensare all’entusiasmo della nostra comune passione pedagogica e civile, che tutta traspare nei suoi testi poetici.
Peppino era Giuseppe Pace all’anagrafe. Era nato ad Avigliano l’8 settembre 1921. Conseguì il diploma magistrale a 35 anni, quando, come impiegato, lavorava presso l’Inps di Potenza. Ma lui voleva fare il maestro. La vincita del concorso magistrale fu il motivo per rinunziare allo stipendio da impiegato INPS, ben più remunerativo di quello da maestro. E fece il suo faticoso tirocinio per diversi paesi della provincia, spesso disagiati, prima di arrivare nel capoluogo Potenza. Avviò così, e condusse, la sua strenua battaglia contro l’analfabetismo strumentale e culturale di piccoli e grandi. Leggeva di tutto. E scriveva in prosa e in versi, pur senza mai pubblicare, eccettuata una collaborazione occasionale con “La Procellaria”, rassegna calabrese di varia cultura, diretta da Francesco Fiumara, anche lui maestro elementare. Solo nel 1996 si lasciò convincere a pubblicare “Lu T-rrazz-n”, facendosi cantore dei contadini della sua terra. Oggi, a distanza di sette anni dalla morte, fra cumuli di fogli sparsi e riflessioni chilometriche, sono state trovate poesie in dialetto, che la figlia Enza ha voluto tradurre e pubblicare. Si tratta di poesie che toccano la vita in tutti suoi aspetti: il vissuto quotidiano, la natura, l’amore, la fede, con l’occhio e il cuore sempre volti alle sorti dell’umanità. Non c’è apparente ordine di temi; Peppino scriveva come gli dettava il cuore. E se c’è il cuore c’è l’uomo. Se poi c’è l’uomo, ci sono ragioni sufficienti per trovare poesia e andare in pubblico. Ciao, Peppino.
Franco Villani
amico di Peppino, prima che suo editore
INFORMAZIONI:
Autore | Peppino Pace |